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Perché conversione (ecologica)?

Post n°7 pubblicato il 23 Settembre 2009 da PietroDelZanna
 

Perché conversione (ecologica)?

 

Perché conversione e non riconversione o rivoluzione?

Io non so se sia stato Alexander Langer ad utilizzare per primo questo termine. Suppongo di sì. Sicuramente è il primo che lo ha utilizzato con una certa sistematicità. Da non perdere uno dei suoi ultimi scritti “La conversione ecologica ptrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”.

Fin dai primi convegni verdi, ed ancora oggi, si tende a parlare di riconversione ecologica dell'economia (accompagnato all'ossimoro di “sviluppo sostenibile”). Non vi è una visone complessiva. Siamo sempre imprigionati dallo sguardo dell'homo economicus che, ormai da un secolo e mezzo, tutto vede, teorizza e pratica in nome dell'economia, quasi- a voler riscrivere la Bibbia- Dio avesse inventato il mercato e tutto il resto al seguito.

La riconversione parla sul piano economico, parla di un cambiamento delle attività produttive: la riconversione dell'industria bellica per esempio o di quella dell'automobile o di quella energetica.

Oggi, almeno a parole, tutti o meglio molti (ormai c'è solo il nostro governo - oltre l'Iran, la Corea del Nord ecc- che insiste sul nucleare – e chissà se nell'intimo del nostro novello Napoleone non vi sia anche il recondito desiderio di arrivare alla bomba atomica-) sono d'accordo sulla necessità di questa riconversione che al momento viene chiamata Green Economy o New deal ecologico.

Anche l'accoppiata di termini “rivoluzione verde” compare qua è là tra i più temerari. Ma è un concetto più impegnativo ed indigesto. L'esito delle rivoluzioni passate lascia spazio a poche speranze. Quanti sogni spezzati? Quanti “effetti collaterali” hanno letteralmente inficiato i buoni propositi iniziali? Quante restaurazioni traumatiche? Se riconversione parla sul piano economico rivoluzione parla sul piano sociale. E non vi è dubbio che per un prossimo futuro possibile e sostenibile vi sia bisogno di radicali cambiamenti su entrambi i piani.

Ma conversione ha un che di religioso, forse per questo è un termine che in politica stenta a decollare. Ci si converte dall'ateismo ad una religione o da una religione all'altra. Il cambiamento avviene, o dovrebbe avvenire, nell'intimo della persona (a parte crociate di tutti i tipi e missioni di un certo tipo che hanno preteso e pretendono di imporre con la forza tale cambiamento). La conversione può essere repentina nel proprio intimo ma infinitamente paziente nella storia. La visione escatologica permette di comprendere, perdonare, accettare tempi addirittura eterni, fino al martirio se necessario. Lungi da me l'idea di fare qualsiasi minima apologia del martirio resto affezionato all'idea di “conversione ecologica” perché riesce con due semplici parole a parlare di una necessità di cambiamento sui tre piani appena descritti e ad indicare un metodo, questo sì rivoluzionario, soprattutto in politica. Un metodo che guarda e valorizza la capacità di convincere e non quella di vincere, che parta dalla forza delle idee più che della forza dei numeri (che dovrebbe venire di conseguenza e non viceversa. Il dramma del Partito Democratico è proprio questo, che il ragionamento, semplificato, è stato: “costruiamo un partito forte, importante, che possa battere il centrodestra, poi pensiamo ai contenuti da dargli”. La Forza di Euorope Ecologie sta nel processo diametralmente opposto). Conversione ecologica indica la necessità di un cambiamento sì delle politiche economiche e produttive, sì di leggi e decreti, ma anche e soprattutto di un cambiamento sul piano individuale. Cambiamento che riguarda i consumi e gli stili di vita certo, ma attenzione a non imprigionarci in nuovi piccoli integralismi (forse nemmeno noi saremo capaci di vivere nelle utopie che raccontiamo ci avvisava sempre Langer), ma soprattutto che riguarda il nostro modo di relazionarsi con l'altro e la natura che ci circonda. Un cambiamento che impone il superamento della competitività a tutti i costi a vantaggio di una visione armonica (pur con le sue contraddizioni e violenze) di tutto l'ecosistema basata su relazioni solidaristiche. So che vado a toccare un crinale delicato. Molto spesso è stata tracciata una linea netta di demarcazione tra ecologismo profondo e ambientalismo scientifico. Tra chi fa riferimento a Goldsmith, Illich e Castoriadis da un lato e chi a Rifkin, Commoner e Tiezzi dall'altro, tanto per fare dei nomi parziali e non esaustivi. Con l'accusa dei secondi verso i primi di essere reazionari, anti-illuministi, oscurantisti e dei primi verso i secondi di essere iperfiduciosi verso le magnifiche sorti del futuro garantito da una scienza ecologica.

Ovviamente questa linea di demarcazione non esiste. Esistono diversi punti di partenza, piani diversi di lavoro, ma è facile individuare una tendenza comune.

Questa tendenza voglio chiamarla, senza tanti giri di parole, fraternità. Sì, lo so, rischio di essere tacciato per il solito coglione buonista che non capisce come va il mondo. Mi permetto di pensare il contrario e provo ad argomentarlo. Sono coloro che sanno come va il mondo che ci stanno conducendo verso il baratro e proprio per questo non mi fido più di loro.

 

 

 

 
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Lettera aperta a Maryam Rajavi, Presidente eletto dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana.

Post n°6 pubblicato il 08 Settembre 2009 da PietroDelZanna
 

Lettera aperta a Maryam Rajavi, Presidente eletto dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana.

 

Egregia Presidente,

le scrivo questa lettera,con estrema umiltà e determinazione, spinto dalla preoccupazione per la sortedi tutti quei militanti che in questo momento stanno mettendo a repentaglio lapropria vita utilizzando lo strumento dello sciopero della fame. Le scrivo conl'intima speranza che lei possa fare qualcosa che risulterebbe non solodeterminante per la vita e la morte di tanti uomini e donne (e già questovarrebbe, a mio modesto giudizio, un suo intervento), ma anche e soprattuttoperché un simile gesto potrebbe aprire un varco per un cambiamento epocalenella ormai lunga storia dei Mojahedin del popolo iraniani, restituendo dignitàe centralità alla vita del singolo militante.

Seguo ed appoggio, nellimite delle mie forze, la Resistenza Iraniana, da più di tre anni. Abbiamoavuto modo di incontrarci, due volte ad Auvers-sur-Oise ed una volta a Roma. Daassessore dell'Amministrazione Provinciale di Siena ho sostenuto l'associazioneIride nella pubblicazione del volume “Integralismo islamico e questionefemminile”, riportando integralmente il suo discorso dell'otto marzo 2004. Holetteralmente combattuto in vostra difesa da attacchi che provenivano nei vostriconfronti tanto da destra -sono nella lista nera delle associazioni terroristichedegli Stati Uniti- che da sinistra -sono al soldo dei servizi segreti degliStati Uniti- e soprattutto con una diffusissima ignoranza dovuta ad un silenzioimbarazzante da parte di tutti i mass media. Ho incontrato muri insormontabilitanto nel mondo intellettuale quanto tra i militanti di base. Rimango convintodella vostra piena ragione che un giorno la Storia vi riconoscerà (un po' comeda noi è successo per i partigiani di Giustizia e Libertà). Nel rispetto delledifferenze culturali e storiche, mi sono sempre permesso di proporre al vostromovimento l'approfondimento del pensiero e della lotta nonviolenta.

Già molto è stato fatto dal2002 ad oggi, spostando tutta l'azione sul piano politico- giudiziario edabbandonando definitivamente la lotta armata. Importanti successi sono statiraggiunti ed ho gioito con voi quando il Consiglio Europeo, nel Gennaio scorso, vi hadefinitivamente tolto dalla lista delle associazioni terroristiche.

Sicuramente rivoluzionario,per un movimento islamico come il vostro, è stato passare la leadership alledonne.

Ma, adesso, occorrono sceltealtrettanto coraggiose.

Viviamo nel paradosso divedere traballare il Regime come non era mai successo negli ultimi anni e,contemporaneamente, assistere inermi ad un'ulteriore mandata di martiri dellaprincipale organizzazione di opposizione al regime stesso nel silenzio piùassordante.

Da oltre un mese militantidel PMOI sono in sciopero della fame tanto ad Ashraf che in molte capitali delmondo. Cominciamo ad assistere ai primi collassi (non ho il bollettinoaggiornato). So che la determinazione dei militanti non esiterà adaccompagnarli alla morte in virtù della nobiltà della causa: La libertàdell'Iran.

In questi anni mi sonosempre fermato davanti al rispetto delle differenze storiche e culturali ognivolta che avvisavo un estremo disagio per le scelte di abnegazione dei singolimilitanti anteponendo la causa ai legami familiari (fino a separarsi daifigli). Sicuramente vi sono state situazioni contingenti che non sono in gradoassolutamente di valutare, tanto meno di giudicare, che hanno portato a talidecisioni. Ma oggi la situazione è cambiata. Fin da quando si è cominciato aparlare di un possibile passaggio del controllo della base di Ashraf al governoirakeno (puntualmente avvenuta) e del prevedibile assedio per conto dei Mullahiraniani, ho provato a proporre, nei miei ultimi incontri con rappresentantidella Resistenza, la trasformazione della base in una sorta di avamposto per iDiritti Umani di tutta l'area persiana coinvolgendo il maggior numero possibiledi Organizzazioni Internazionali per i Diritti Umani.

Sarebbe bello che il lavoro portato avanti in questianni in modo instancabile ed in condizioni avverse dal PMOI diventassepatrimonio comune dell'umanità e che i singoli militanti venissero restituitiad una libertà personale ed affettiva capace di contaminare il mondo fuori dalle mura dellabase. Immaginiamo i tremilacinquecento militanti di Ashraf, diffondersi nelleprincipali capitali a raccontare la loro esperienza, sempre in contatto conAshraf adesso abitata da volontari che provengono da tutto il mondo sotto l'egidadell'ONU. Mi rendo conto della complessità e della difficoltà attuativa dellamia proposta, ma sono sempre più convinto che varrebbe la pena lavorarci, e chesarebbe sempre meglio che assistere inermi ad una nuova “Srebrenica” inminiatura. Ma intanto sarebbe urgente una sua parola forte per interrompere gliscioperi della fame. Abbiamo bisogno di testimonianze vive non di nuovi martirida aggiungere ai 120.000 che già oggi, purtroppo, in pochissimi ricordano.

Consapevole della velleitarietàdel mio tentativo spero di non aver offeso la sua sensibilità e mi auguro dipoterla rivedere presto, magari a Teheran a festeggiare la fine della dittaturareligiosa e le prime elezioni libere e democratiche.

Cordialmente

 

Pietro Del Zanna

 
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Rinascita dell'uomo epimeteico di Ivan Illich (seconda e ultima parte)

Post n°5 pubblicato il 03 Settembre 2009 da PietroDelZanna

Lo stato d'animo dei giorni in cui viviamo è propizio a una svolta fondamentale nella ricerca di un futuro che sia aperto alla speranza. Gli obiettivi delle istituzioni contraddicono infatti continuamente i loro prodotti. Il piano contro la povertà fa aumentare il numero dei poveri, la guerra in Asia quello dei Vietcong, l'assistenza tecnica il sottosviluppo. Gli ambulatori per il controllo delle nascite elevano i tassi di sopravvivenza ed espandono la popolazione; le scuole producono un maggior numero di evasori; e mettere un freno a un tipo d'inquinamento significa di solito accentuarne un altro. 

La massa dei consumatori comincia ad accorgersi che quanto più può comprare, tante più delusioni le tocca ingoiare. Sino a non molto tempo fa sembrava logico dare la colpa di questa epidemia di disfunzioni al ritardo della scoperta scientifica rispetto alle richieste della tecnologia, oppure alla malvagità dei nemici etnici, ideologici o di classe. Ora Je aspettative di un nuovo millennio scientifico come quelle di una guerra che ponesse fine a tutte le guerre sono tramontate. 

Il consumatore esperto non ha modo di ritornare a una ingenua fiducia nelle tecnologie magiche. Troppe persone hanno avuto brutte esperienze con computer nevrotici, infezioni prese in ospedale e ingorghi ovunque ci sia traffico, per le strade, sulle rotte aeree o nei telefoni. Ancora dieci anni fa la saggezza convenzionale preannunciava un mondo migliore basato sul progresso della ricerca scientifica; adesso gli scienziati spaventano i bambini. I lanci sulla luna costituiscono un'affascinante dimostrazione che si possono eliminare quasi completamente gli errori umani nel funzionamento dei sistemi complessi, e tuttavia ciò non placa la nostra paura che l'impossibilità umana di consumare secondo le istruzioni possa sfuggire a ogni controllo. 

Neanche il riformatore sociale può tornare agli assunti degli anni quaranta. È svanita la speranza di superare il problema della giusta distribuzione dei beni creando un'abbondanza dei beni stessi. Il costo minimo dei prodotti che possono soddisfare i gusti moderni è salito alle stelle, e ciò che rende moderno un gusto è il fatto di passar di moda prima ancora di essere soddisfatto. 

I limiti delle risorse del pianeta sono divenuti evidenti. Nessun balzo in avanti della scienza o della tecnologia potrebbe procurare a ogni abitante del mondo i beni e i servizi oggi a disposizione dei poveri dei paesi ricchi. Per raggiungere questa meta, anche con la più “leggera” delle tecnologie alternative, occorrerebbe infatti, per esempio, estrarre ferro, stagno, rame e piombo, in quantità cento volte superiore all'attuale. 

Infine, insegnanti, medici e assistenti sociali s'accorgono che le loro prestazioni professionali, pur così diverse, hanno almeno un aspetto in comune: creano cioè ulteriori richieste degli interventi istituzionali da loro forniti, prevenendo e superando le loro possibilità di fornire servizi istituzionalizzati. 

Non semplicemente qualche parte, ma la logica stessa della saggezza convenzionale comincia a essere revocata in dubbio. Persino le leggi dell'economia non sembrano più tanto convincenti, fuori degli stretti parametri che si riferiscono all'area sociale e geografica dove è concentrata la massima parte del denaro. Il quale denaro è effettivamente il mezzo di scambio più a buon mercato, ma solo in un'economia strettamente legata a un'efficienza che si misuri in termini monetari. Sia i paesi capitalisti sia quelli comunisti, nelle loro forme diverse, misurano l'efficienza secondo i rapporti tra costi e profitti espressi in dollari. Il capitalismo, per asserire la propria superiorità, ostenta un tenore di vita più alto. Il comunismo vanta invece un più elevato tasso di sviluppo come indice del suo futuro trionfo. Ma sotto entrambe le ideologie il costo totale dell'aumento dell'efficienza cresce in progressione geometrica. Le maggiori istituzioni si battono accanitamente per impadronirsi di risorse che non sono elencate in nessun inventario: l'aria, l'oceano, il silenzio, il sole, la salute. E attirano l'attenzione del pubblico sulla scarsità di queste risorse solo quando sono ormai quasi irrimediabilmente degradate. La natura diventa ovunque venefica, la società disumana, mentre si viola la vita interiore e si soffocano le vocazioni personali. 

Una società che istituzionalizza i valori identifica la produzione di beni e servizi con la richiesta dei medesimi. Nel prezzo del prodotto è compreso il condizionamento che ti porta ad aver bisogno di quel prodotto. La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com'è. In una società del genere il valore marginale è diventato qualcosa che si autotrascende incessantemente. Esso costringe i pochi grandi consumatori a contendersi il potere di esaurire le risorse della terra, di riempirsi le pance già gonfie, di disciplinare i piccoli consumatori e di impedire le attività di coloro che ancora trovano soddisfazione nell’ arrangiarsi con ciò che hanno. L'ethòs dell'insaziabilità è dunque alla radice della devastazione fisica, della polarizzazione sociale e della passività psicologica. 

Una volta che i valori sono stati istituzionalizzati in processi programmati e meccanizzati, i membri della società moderna credono che il vivere bene consista nell'avere istituzioni che definiscano i valori di cui essi e la loro società ritengono d'aver bisogno. Il valore istituzionale può essere definito come il livello di produzione di una istituzione. Il valore corrispondente di un uomo si misura secondo la sua capacità di consumare e degradare questi prodotti istituzionali, e di creare in tal modo una nuova - e anche maggiore - richiesta. Il valore dell'uomo istituzionalizzato dipende dalle sue capacità di inceneritore. Per usare un'immagine: egli è diventato l’idolo delle sue opere. L’uomo definisce ormai sè stesso come la fornace che brucia i valori prodotti dai suoi stessi utensili. E questa sua capacità non ha limiti. Il suo è l'atto di Prometeo portato all'estremo. 

L'esaurimento e l’inquinamento delle risorse della terra sono, soprattutto, l'effetto di una corruzione dell'immagine che l'uomo si fa di se stesso, di una regressione della sua coscienza. Qualcuno preferirebbe parlare di una mutazione della coscienza collettiva, che porta a vedere nell'uomo un organismo dipendente non dalla natura o da altri individui, ma dalle istituzioni. Questa istituzionalizzazione dei valori essenziali, questa fede che un processo di trattamento programmato finisca col dare i risultati desiderati da chi lo subisce, questo ethos consumistico sono al centro dell'illusione prometeica. 

Gli sforzi per arrivare a un nuovo equilibrio nell'ambiente globale dipendono dalla disistituzionalizzazione dei valori. 

Il dubbio che nel concetto di homo faber vi sia qualcosa di strutturalmente sbagliato si va sempre più diffondendo in una minoranza sparsa in tutti i paesi, comunisti, capitalisti e “sottosviluppati”. Questo dubbio è la caratteristica comune di una nuova elite. Appartengono a essa individui di ogni classe, reddito, fede e civiltà. Essi sono giunti a diffidare dei miti della maggioranza: delle utopie scientifiche, del diabolismo ideologico e dell'aspettativa del giorno in cui beni e servizi saranno distribuiti con una certa eguaglianza. Hanno in comune con la maggioranza la sensazione d'essere in trappola e, ancora, la consapevolezza che quasi tutte le nuove scelte politiche adottate con vasto consenso approdano regolarmente a risultati che sono clamorosamente opposti ai loro fini dichiarati. Ma mentre la maggioranza prometeica degli aspiranti esploratori spaziali continua a non affrontare il problema strutturale, la minoranza emergente critica il deus ex machina scientifico, la panacea ideologica e la caccia ai diavoli e alle streghe, e comincia a dar forma al proprio sospetto che le nostre continue illusioni ci leghino alle istituzioni contemporanee come le catene legavano Prometeo alla roccia. Una fiducia piena di speranza e l’ironia classica (eironeia) devono allearsi per denunciare l'inganno prometeico. 

Si ritiene di solito che Prometeo significhi “il preveggente” o anche “colui che fa avanzare la stella polare”. Egli sottrasse abilmente agli dèi il monopolio del fuoco, insegnò agli uomini a servirsene per forgiare il ferro, divenne il dio dei tecnologi e finì legato a ferree catene. 

La Pizia di Delfi è stata ora sostituita da un computer che troneggia sui pannelli e perfora schede. Gli esametri dell'oracolo hanno lasciato il posto a istruzioni in codici di sedici bit. L’uomo timoniere ha ceduto la barra alla macchina cibernetica. Sta per comparire la macchina definitiva che guiderà i nostri destini. I bambini fantasticano di volare con le loro astronavi lontano da una terra al crepuscolo. 

Dalla prospettiva dell’uomo giunto sulla luna, Prometeo potrebbe riconoscere nell'azzurra e splendente 

Gaia il pianeta della speranza e l'arca dell'umanità. Una nuova consapevolezza dei limiti della Terra e una nuova nostalgia possono oggi aprire gli occhi agli uomini e portarli a condividere la scelta di Epimeteo che sposando Pandora sposò la Terra. 

A questo punto il mito greco diventa una profezia carica di speranze, perché ci dice che il figlio di Prometeo era Deucalione, il timoniere dell'arca che, come Noè, resistette al diluvio e diventò padre di una nuova umanità, che egli fece con la terra unitamente a Pirra, figlia di Epimeteo e di Pandora. Incominciamo così a capire che in realtà il pythos che Pandora ricevette dagli dèi è il contrario di una scatola: è il nostro vascello, la nostra arca. 

Abbiamo ora bisogno di un nome per chi crede più nella speranza che nelle aspettative. Abbiamo bisogno di un nome per chi ama più la gente dei prodotti, per chi crede che 



Non ci sono uomini poco interessanti. 

Sono i loro destini storie di pianeti. 

Tutto, nel singolo destino, è singolare, 

e non c'è un altro pianeta che gli somigli. 



Abbiamo bisogno di un nome per chi ama la terra sulla quale tutti possono incontrarsi. 



Ma se qualcuno è vissuto inosservato 

- e di questo s'è fatto un amico - 

tra gli uomini è stato interessante 

anche col suo passare inosservato. 



Abbiamo bisogno di un nome anche per chi collabora con il proprio fratello prometeico ad accendere il fuoco e a foggiare il ferro, ma lo fa per accrescere la propria capacità di assistere, curare e aiutare gli altri, sapendo che 



Ognuno 

ha un mondo misterioso 

tutto suo 

e in esso c' è l’attimo più bello 

e l'ora più angosciosa, 

solo che noi non ne sappiamo niente. [1] 



Propongo che questi fratelli e sorelle pieni di speranza vengano chiamati uomini epimeteici. 




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[1] Le tre citazioni sono tratte dalla poesia “Uomini” di Evgenij Evtusenko (In Non sono nato tardi, traduzione di Ignazio Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1962).


http://www.altraofficina.it/ivanillich/default.htm

 
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Rinascita dell'uomo epimeteico. Di Ivan Illich (prima parte)

Post n°4 pubblicato il 02 Settembre 2009 da PietroDelZanna

Rinascita dell'uomo epimeteico di Ivan Illich


La nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta a New York in un negozio di giocattoli. Era uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva per mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano verso il coperchio, lo abbassavano e lo chiudevano a chiave dall'interno. Trattandosi di una scatola, ti saresti aspettato che si potesse estrarne qualcosa, e invece conteneva soltanto un meccanismo per chiudere il coperchio. Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della “scatola” di Pandora.

La Pandora originaria, “Colei che tutto dona” era, una dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria. Essa fece scappare tutti i mali dal suo vaso (pythos), ma chiuse il coperchio prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia dell'uomo moderno comincia con la degradazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali scatenati. È la storia dell'affievolirsi della speranza e gel sorgere delle aspettative.

Per capire ciò che questo vuol dire dobbiamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione più pregnante, indica una fede ottimistica nella bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e controllati dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale attendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha messo in ombra la speranza. La sopravvivenza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale.

La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i mali, e in più, come unico bene, la speranza. Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli confidava, per sopravvivere, nella munificenza della natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribù. I greci dell'epoca classica cominciarono a sostituire alla speranza le aspettative. Nella loro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i beni; ma essi la ricordavano soprattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente significativa, dimenticavano che “Colei che tutto dona” era anche la guardiana della speranza.

I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il primo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome “Epimeteo”, che significa “colui che capisce a posteriori”, era considerato un sinonimo di “sciocco” o di “ottuso”. All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini, terrorizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai mali scatenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e di fargli produrre servizi che impararono anche ad aspettarsi. Vollero che le proprie necessità e le future esigenze dei loro figli fossero conformate alle loro opere. Divennero legislatori, architetti e scrittori, crearono costituzioni, città e opere d'arte perché servissero da modelli alla loro progenie. Mentre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti per iniziare gli individui alle tradizioni della società, i greci dell'età classica riconoscevano come veri uomini solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione) alle istituzioni create dai loro avi. L’evoluzione del mito rispecchia il passaggio da un mondo in cui si interpretavano i sogni a un mondo in cui si facevano oracoli. Da tempo immemorabile la dea Terra veniva adorata sulle pendici del monte Parnaso, che era il centro e l'ombelico del mondo. Là, a Delfi (da delphys, utero), Gaia, sorella di Caos e di Eros, dormiva in una grotta. Suo figlio, il drago Pitone, ne sorvegliava i sogni bagnati dalla rugiada e dal chiaro pi luna, finche non arrivò dall'oriente Apollo, il dio del Sole e l'archi tetto di Troia, che trucidò il drago e s'impadronì della grotta. I suoi sacerdoti si presero il tempio. Assunta una vergine del luogo, la mettevano a sedere su un tripode sopra il fumante ombelico della Terra e la intontivano con i fumi, quindi trascrivevano le sue frasi estatiche negli esametri di profezie formulate in modo da avverarsi in qualunque caso. Gli uomini di tutto il Peloponneso portavano al santuario di Apollo i loro problemi. Ne consultavano l'oracolo anche per le scelte sociali, come i provvedimenti da prendere per fermare una pestilenza o una carestia, per dare a Sparta la costituzione migliore o per stabilire i luoghi più adatti a costruire città che si sarebbero poi chiamate Bisanzio e Calcedonia. La freccia infallibile divenne il simbolo di Apollo e tutto ciò che aveva a che fare con lui diventò utile e importante.

Già Platone, quando descrisse nella RepubblIca lo stato ideale escludeva la musica popolare. Nelle città sarebbero state permesse soltanto la cetra e la lira di Apollo perché soltanto la loro armonia crea “il canto della necessità e quello della libertà, il canto dello sventurato e quello del fortunato, il canto del coraggio e quello della temperanza, che s'addicono ai cittadini”. I quali cittadini erano invece presi da timor panico davanti al flauto di Pan e al suo potere di destare gli istinti: soltanto “i pastori possono suonare le canne [di Pan] e solo nelle campagne”..

L’uomo si assunse la responsabilità delle leggi sotto cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagine. L’iniziazione primitiva alla vita mitica attraverso la Madre Terra si trasformò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di sentirsi a proprio agio nel foro.

Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità. Sottraendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramutò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità e sfidò il fato. L’uomo classico formò un contesto civilizzato per una prospettiva umana. Era conscio di potere, sì, sfidare il fato, la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L’uomo contemporaneo va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambiente prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifare continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco.

Vivere oggi a New York significa avere una particolarissima visione di ciò che è e di ciò che può essere, senza la quale vivere a New York sarebbe impossibile. Nelle sue strade un bambino non tocca mai niente che non sia stato scientificamente elaborato, fabbricato, pianificato e venduto a qualcuno. Persino gli alberi sono lì perché la Ripartizione giardini ha deciso di metterceli. Le barzellette che egli ascolta alla televisione sono state programmate a caro prezzo. I rifiuti con i quali gioca nelle vie di Harlem sono resti di confezioni concepite per altre persone. Persino i desideri e le paure sono plasmati dalle istituzioni. Il potere e la violenza hanno una precisa articolazione e gestione: da una parte le bande, dall'altra la polizia. La stessa istruzione consiste nel consumare materie, che sono il risultato di programmi studiati, pianificati e imposti sul mercato. Tutto ciò che c'è di buono è il prodotto di qualche istituzione specializzata. Sarebbe assurdo chiedere qualcosa che nessuna istituzione può produrre. Il ragazzo nuovaiorchese non può aspettarsi niente che sia al di fuori dei possibili sviluppi del processo istituzionale. Persino la sua fantasia è stimolata a produrre fantascienza. La sorpresa poetica del non programmato gli si presenta solo quando incontra lo “sporco”, lo sbaglio clamoroso, il guasto: la buccia d'arancia nella cunetta, la pozzanghera per la strada, lo sconvolgimento dell'ordine o di un programma, l'avaria di una macchina sono gli unici spunti che possono dare il via alla fantasia creativa. “Bigiare” diventa la sola esperienza poetica a portata di mano. poiché non c'è nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bisogno. Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere o d'imparare a leggere, l'obiettivo verrà sempre definito in modo tale che la sua realizzazione sia organizzabile tecnicamente. L’uomo il quale sa che tutto quanto è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo lunare, altrettanto è concepibile la richiesta di andare sulla luna. Non andare dove si può andare sarebbe sovversivo. Smaschererebbe la follia del principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una richiesta ancor maggiore che chiede di essere soddisfatta a sua volta. Una rivelazione del genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile metterebbe in luce che la legge delle “aspettative crescenti” è un eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre più profondo, che è il vero motore di una società fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda.

Lo stato d'animo dell'abitante della città moderna figura nella tradizione mitica solo nelle immagini dell'inferno. Sisifo, che per qualche tempo era riuscito a mettete in catene Thanatos (la morte), deve far rotolare un pesante masso su per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta il masso gli sfugge di mano. Tantalo che, invitato a pranzo dagli dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'immortalità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque si ritraggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno.

L’uomo ha conquistato il potere frustrante di chiedere qualunque cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'istituzione. Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei mali primitivi è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura automatica. L’uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare.

L’offuscamento della realtà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci troviamo all'improvviso nel buio di una trappola fabbricata da noi stessi.

Anche la realtà è arrivata a dipendere dalle decisioni umane. Lo stesso presidente che ordinò l'inefficace invasione della Cambogia avrebbe potuto benissimo ordinare l'impiego efficacissimo dell'atomo. Il “pulsante di Hiroshima” può oggi tagliare l'ombelico della Terra. L'uomo ha il potere di far sì che Caos travolga sia Eros sia Gaia. Questo suo nuovo potere ci ricorda costantemente che le nostre istituzioni non soltanto si creano i propri fini, ma possono anche porre fine a se stesse e a noi.

La loro assurdità è evidente se si prende ad esempio l'istituzione militare: le armi moderne sono in grado di. difendere la libertà, la civiltà e la vita solamente annientandole; la sicurezza, nel linguaggIo dei militari, è la capacità di toglier di mezzo la Terra.

Non meno palese è l'assurdità di fondo delle istituzioni non militari. Non hanno pulsanti che possano scatenare la loro potenza distruttiva, ma non ne hanno neanche bisogno. Tengono già ben saldo nelle loro mani il coperchio del mondo. Creano bisogni più rapidamente che soddisfazioni e nel tentativo di appagare i bisogni che esse stesse suscitano, consumano la Terra. Questo vale per l'agricoltura e per l'industria, ma anche per la medicina e l'istruzione. L’agricoltura moderna avvelena ed esaurisce il suolo. La “rivoluzione verde” è in grado, con le nuove sementi, di triplicare la produzione per ettaro, ma solo aumentando, in misura proporzionalmente ancor maggiore, l’impiego di fertilizzanti, insetticidi, acqua e energia. La fabbricazione di questi prodotti, come di tutti gli altri, inquina gli oceani e l'atmosfera e degrada risorse insostituibili. Se la combustione continuasse ad aumentare con l'attuale ritmo, finiremmo presto per consumare l'ossigeno dell'atmosfera con una rapidità superiore a quella della sua rigenerazione. E non abbiamo motivo di credere che la fissione o la fusione possano sostituire la combustione senza rischi eguali o maggiori. Gli stregoni rimpiazzano le levatrici e promettono di trasformare l'uomo in qualche altra cosa: programmato geneticamente, purificato farmacologicamente e capace di restar malato più a lungo. L’ideale contemporaneo è un mondo totalmente asettico, dove ogni contatto tra gli uomini, o tra gli uomini e il loro ambiente, sia frutto di previsioni e manipolazioni. La scuola è diventata il processo programmato che attrezza l'uomo per un mondo programmato, il principale strumento per chiudere l'uomo nella sua stessa trappola; il suo fine dichiarato è di portare ognuno a un livello adeguato per poter svolgere una parte in questo gioco mondiale. Inesorabilmente, coltiviamo, curiamo, produciamo e scolarizziamo il mondo per farlo morire.

L’assurdità dell'istituzione militare è evidente. È più difficile rendersi conto di quella delle istituzioni non militari, che è ancora più spaventosa proprio perché inesorabile è il suo operare. Noi sappiamo quale pulsante non bisogna premere per evitare un olocausto atomico: non esiste invece pulsante che impedisca un'Armageddon ecologica.

Nell'antichità classica l'uomo aveva scoperto che il mondo poteva essere foggiato secondo i suoi piani, e partendo da questa intuizione aveva capito che esso era intrinsecamente precario, tragico e comico. Sviluppandosi le istituzioni democratiche si affermò il principio che nel quadro di esse ci si poteva fidare dell’uomo. Le aspettative riposte nel debito processo e la fiducia nella natura umana si equilibravano reciprocamente. Sorsero le professioni tradizionali e con esse le istituzioni necessarie al loro esercizio.

L’affidamento al processo istituzionale ha però finito furtivamente per sostituire la fiducia nella buona volontà dell'individuo. Il mondo ha perduto, la sua dimensione umana per ritrovare l’inesorabilità dei fatti e la fatalità che caratterizzavano le epoche primitive. Ma mentre il caos dei barbari trovava costantemente un suo ordine nel nome di dèi misteriosi e antropomorfici, oggi solo la pianificazione umana può fornire una ragione del fatto che il mondo è quello che è. L'uomo è diventato il trastullo di scienziati, ingegneri e pianificatori. Vediamo in funzione questa logica in noi e negli altri. Conosco un villaggio messicano dove passano ogni giorno non più d'una dozzina di automobili. Qui un messicano stava giocando a domino sulla nuova strada lastricata davanti a casa sua, dove probabilmente soleva giocare e sedersi fin da bambino. Passò velocissima un'auto e lo uccise. Il turista che mi raccontò l'episodio era profondamente turbato, e tuttavia disse: “Se l'è tirato addosso”.

A prima vista la sua osservazione non è molto diversa da quella di un primitivo quando racconta la morte di un tizio che ha violato un tabù e di conseguenza è morto. Ma le due osservazioni hanno un significato opposto. Il primitivo può incolpare qualche forza trascendente, ottusa e implacabile, mentre il turista è dominato dalla logica inesorabile della macchina. Il primitivo ignora la responsabilità, il turista la conosce ma la nega. Nell'uno e nell'altro sono assenti il tono classico del dramma, l'atmosfera della tragedia, la logica dello sforzo e della ribellione personale. Il primitivo non ne ha preso coscienza e il turista l'ha persa. Il mito del boscimano e quello dell'americano sono fatti di forze inerti, inumane. Non comportano, ne l'uno ne l'altro, la ribellione tragica. Per il boscimano l'evento procede dalle leggi della magia, per l'americano da quelle della scienza. L’evento lo pone sotto l'influsso delle leggi della meccanica, che secondo lui governano gli accadimenti fisici, sociali e psicologici.

 
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Una irrequietezza benedetta e inarrestabile

Post n°3 pubblicato il 01 Settembre 2009 da PietroDelZanna
 

 

UNA IRREQUIETEZZA BENEDETTA E INARRESTABILE


di Maurizio Di Gregorio

Paul Hawken ha scritto un libro memorabile in cui espone la dinamica evolutiva dei vari movimenti sia ecologisti che per la giustizia sociale. Ripercorrendo la storia del pensiero (americano) ambientalista e dei movimenti per i diritti civili, giunge ad individuare un movimento perenne più generale che è sotteso a tutti i vari movimenti in azione nelle varie epoche e situazioni. Infine analizza il movimento no global, ne delinea il suo esser formato da reti di movimenti e il suo carattere assolutamente non ideologico.

L’universalità di questo movimento dei movimenti (
si sta formando dappertutto), la sua capacità di contaminare ogni bacino culturale e persino la sua frammentarietà lo inducono a considerarlo come la risposta immunitaria socio-culturale al degrado ambientale, alla degenerazione economica e alla corruzione sociale. Un movimento che non avendo capi, ideologie e strutture non può magari vincere direttamente niente ma che al contempo è imprendibile e indomabile, riemerge quando vuole, muta di dimensione, forma e obiettivi a seconda delle specifiche situazioni. 

Cioè, in realtà, ci dice, è il movimento evolutivo dell’umanità, il cui compito non è ristretto nelle credenze specifiche e ristrette di qualsiasi ideologia o organizzazione e il cui obiettivo non si esaurisce mai nelle iniziative specifiche che mette in atto, poiché non intende vincere su una parte ma si pone invece il compito grandioso di ereditare tutto. 

Benedetta Irrequietezza
, è questo il titolo originale del libro (in inglese Blessed Unrest), è stato tradotto in italiano con invece il titolo di Moltitudine Inarrestabile. Entrambi i titoli possono essere considerati validi anche se il titolo originale inglese meglio connota la visione olistica e trascendente sulla quale il testo di Paul Hawken è sviluppato.

Il titolo italiano 
Moltitudine Inarrestabile richiama l’immagine novecentesca del popolo in cammino per la sua emancipazione o liberazione e probabilmente risente della cultura e della retorica rivoluzionaria più tipicamente europea, anzi italiana, un bagaglio culturale ancora in parte ideologico e legato alle passate e fallimentari storie della sinistra italiana.

Per questo motivo il libro di Hawken potrebbe non essere realmento compreso o più semplicemente frainteso. Se non ci si libera dagli occhiali ideologici tradizionali infatti, non ci si renderà conto che quando Hawken mette insieme la moltitudine diversissima dei vari movimenti e associazioni che lo compongono, propone una visione di ecologia profonda, uno schema olistico e quindi fonda compiutamente una teoria politica new age. 

La biografia stessa di 
Paul Hawken contiene un percorso dagli orti magici della comunità new age di Findhorn alla creazione di una delle prime piccole catene di negozi bio in America, una lunga e approfondita ricerca e pratica dei rapporti tra economia e ambiente, l’esperienza diretta e lo studio teorico di come può essere un commercio alternativo sino al suo libro precedente: Capitalismo Naturale. In esso, riconoscendo come tutto il gioco economico si articoli in realtà sulla dotazione di capitale ambientale (visto anche come sociale)si individua in una economia ecologica l’unica possibilità di reale successo e validità della sfera economica che solo con il recupero della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale può riacquistare una qualsiasi possibile qualità morale.

Anche se la parola new age è passata di moda, per i suoi vistosi fallimenti e per quanto sia stata ignobilmente distorta e manipolata, di questo si tratta, di una teoria politica e culturale autenticamente new age. Si prenda a confronto il famoso (all’estero) testo di 
Marylin Ferguson, la Cospirazione dell’Acquario , (considerato come una bibbia per la new age) e si considerino le sue tabelle di cambiamento di paradigma in ambito politico, ambientale, in educazione e sanità e se ne vedranno direttamente le connessioni con Benedetta irrequietezza.

Il movimento dei movimenti di cui si sta parlando agisce da tempi immemori e dalla fine degli anni ’60 è diventato via via più riconoscibile, man mano che emergeva nella società e nelle coscienze individuali, come fiorigialli ad ogni stagione.

Da tanti anni tutto ciò che si muove, in positivo per la trasformazione della società e per la salvezza del pianeta è new age, anche se non si può dire poichè il termine è stato sputtanato.

E in fin dei conti è anche meglio, perché come ricorda proprio Hawken, questo movimento non ha capi, ideologie né può esser richiuso in qualsiasi schema. E spiegando questo illustra proprio il carattere inafferrabile e trascendente della new age stessa.

Definizioni a parte, 
Moltitudine inarrestabile rivela i ponti sia visibili che nascosti tra i movimenti di tipo ambientalista, i movimenti dei diritti civili e di giustizia sociale ed i movimenti di liberazione dei popoli indigeni: un filo comune che collega il creativo metropolitano al contadino sino all’ultima tribù indigena nelle foreste dell’Amazonia.

Già ripercorrendo la storia dei movimenti ambientalisti americani emerge la progressione di coscienza che porta dal conservazionismo ambientale sino alla critica più radicale del sistema economico e culturale moderno. Ed in modo simile avviene lo stesso cammino convergente dei movimenti per i diritti civili e per la giustizia sociale verso il riconoscimento della visione ecologista.

Bellissimo il racconto del cammino delle idee che va da Emerson (trascendentalismo) a Thoreau, passando per Gandhi, la Baghavad Gita e tornando a Martin Luther King, così come quello che porta dalla prima creazione dei parchi naturali all’ecologismo dei Friends of the Earth sino al movimento no global di Seattle.

Una interconnessione di movimenti ed esperienze che viaggia sulle idee che passano da parte a parte, si applicano e si trasformano viaggiando ai quattro angoli del mondo, idee libere come l'energia, non sono proprietà di nessuno e vanno dappertutto.

Agli occhi di un indigeno, poichè vive sulla Terra, giustizia ambientale e giustizia sociale sono la stessa cosa; sono invece le moltitudini cittadine sradicate da se stesse e dalla terra che stentano a riconoscere questa semplice verità: invece di essere radicate alla Terra, sono imprigionate nella bugia della crescita infinita, nel consumismo di massa, ingannate da favole scientiste e materialiste e truffate da pseudo religioni, sedotte dall’immoralità ed attirate nella spirale distruttiva del nulla.

Dice Hawken: “
curare le ferite del mondo e dei suoi abitanti non richiede santità o un partito politico, ma solo buon senso e perseveranza. Non si tratta di una attività di destra o di sinistra (conservative or liberal -nel testo originale), si tratta di un atto sacro”.

La profondità di visione e analisi raccolta in questo magnifico libro ne richiede riflessione e approfondimenti, 
ne consigliamo assolutamente lettura.

Parliamo un un attimo delle piccole vicende italiane, il libro è uscito in Italia a fine maggio, pochi giorni prima delle elezioni europee e se ne sta diffondendo la lettura per passaparola. La sua lettura agevola ad una interpretazione più ampia di quanto sta avvenendo nella politica e società europea.

Fallite tutte le ideologie, sta tramontando l’epoca dei partiti di massa, sia socialdemocratici che popolari, lentamente si delinea una nuova sensibilità e consapevolezza che va oltre lo schema destre/sinistre. Le formazioni ecologiche oscillano in tutta l’europa occidentale intorno al 10% e dove meglio interpretano la benedetta irrequietezza raggiungono il 16% come nel caso di Ecologie Europe di Cohn Bendit in Francia, candidandosi a forza determinante per il futuro. Da Obama a Cohn Bendit spira un nuovo vento anche sull’Europa.

Europe Ecologie di Cohn Bendit è una moderna lista ecologica che raccoglie il meglio della società civile, va dai verdi tradizionali alla magistrata anticorruzione Eva Jolie sino al no global Josè Bovè.

Come se in Italia vi fosse un formazione che raggruppa Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e Carlo Petrini, sino a quel che resta dei verdi ed al cosmo delle associazioni ambientaliste, di volontariato e della società civile, un insieme, guardiamo bene, quasi visibile, che in Italia potrebbe mobilitare anche più del 20% dei consensi.

Più che altrove, è proprio in Italia che si può avvertire l’urgente necessità di una visione comune di giustizia ambientale e sociale: 
L’inquinamento ambientale è una corruzione ecologica quanto la corruzione è inquinamento sociale ed economico. 

Intorno, nell’impazzimento generale, prosegue la degenerazione della vita collettiva, la lunga agonia dei partiti storici, il fallimento delle culture tradizionali di destra e di sinistra.

Hawken ci ricorda che ci vollero più di cento anni perché si coniasse il termine di rivoluzione industriale, essa fu riconosciuta solo quando si era già compiuta. Oggi ci troviamo davanti qualcosa che non ha nome, forse una rivoluzione ecologica, forse il risveglio spirituale dell’umanità, il bello non è definirla ma prendervi parte.

Fuori e lontano dall’illusione di massa, ferve una vita sociomolecolare che sta trasformando dall’interno le coscienze individuali e collettive, è presente dappertutto, spesso ancora clandestina, una benedetta irrequietezza, è inarrestabile, sta arrivando. 

 http://www.fiorigialli.it/index.php

 
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